PREFAZIONE


Una seria ricerca storica, si deve basare su documenti e reperti coevi , ed in tal caso può anche condurre a revisione.

Non può, al contrario, portare ad alcun risultato revisionistico il riesame della bibliografia postuma e non coeva esistente.

Come nel gioco del passa-parola, l'unico modo per verificare il senso originale, è quello di rileggere la frase scritta dall'autore. Se vi sono molti giocatori, la frase finale può essere del tutto diversa da quella originale. Ovviamente l'autore deve scrivere la frase prima del gioco, e non, diciamo un anno dopo!

Ovvero il documento originale deve essere coevo.

 

Ecco i tipi di documento originale:

  • Autografo ovvero scritto di pugno o firmato dall'autore (di solito inesistente)
  • Apografo ovvero dettato dall'autore o copia esatta dell'autografo (magari!)
  • Apocrifo ovvero senza prove certe di autenticità, il più comune, ma non si dice, pare brutto.

 

Tanto per fare un illustrissimo esempio,

i Vangeli sono tutti di fatto apocrifi, e non esattamente coevi, ma sono riconosciuti, quindi assurgono a livello di apografi, per una sorta di comprovazione incrociata, con altri documenti e fra di loro, come i tre vangeli sinottici più quello di Giovanni (molto caro alla Chiesa romana).

Apocrifi, nel senso peggiore del termine, ovvero falsi, sono considerati tutti gli altri. Ovviamente la cosa è passibile di revisione, se si scoprissero altri codici o "rotoli" di pergamena, ancora più coevi.

 Scoperte a parte, solo il puntuale, disinteressato e certosino riesame dei documenti coevi (fonti esistenti), nel caso evidenziasse distorsioni od ulteriori possibilita' interpretative potrebbe portare a revisione.

 

ANTEFATTO storico, Le STAMPIDE

Sicuramente, abbiamo prove coeve certe, intorno all'anno mille, molte copie manoscritte su pergamena delle "stampide" (virtuosismi poetico-musicali degni di essere diffusi) circolavano liberamente, non solo in occitania, ma in tutto il mondo civile, sia europeo che degli invasori saraceni.

Le opere stampide (per definizione notevoli) erano numerosissime, ed erano le creazioni dei trombadori e delle trombatriz, occelti, ovvero occitani 

  • molte erano canzoni, oggi diremmo leggere,
  • molte erano canti poetico-musicali complessi e lunghi, vere opere, oggi diremmo classiche
  • alcune erano più musica che poesia.
  • ma tutte le poesie erano accompagnate da musica

Quasi tutte sono andate perse.

Delle innumerevoli danze occitane (specie padane), ce ne sono pervenute solamente una cinquantina, quasi tutte conservate a Londra.

Delle moltissime canzoni che sappiamo, per certo, compose Riccardo Cuor di Leone, che parlava occitano (era un Trombadore), ci sono pervenuti solo due frammenti di una stessa canzone scritta in prigionia: lamento e sua rotta.

Le opere degli autori italiani sono da considerarsi, di fatto, quasi completamente perse, salvo futuri ritrovamenti. Di alcuni nomi (d'arte) e frammenti di testo disponiamo solo di citazioni postume.

Alcuni testi di stampide (rigorosamente privati della musica) sono conservati in Vaticano.

Pochi codici e vari frammenti di pergamene, ed il resto? Nulla, tutto perso, anzi distrutto.

Il motivo di questo genocidio culturale risiede in molti infausti accadimenti che disintegrarono l'occitania e la sua cultura.

 

L'opera di distruzione

Anzitutto iniziò certa parte di chiesa romana, che mal vedeva l'estrema indipendenza, sensualita' e libertà di pensiero dei Vescovi occitani e relativi Riti (si e' salvato, purgato, solo il rito Ambrosiano). Pensiamo alle stragi degli occelti Albigesi, e conseguente fuga di molti trombadori al nord, in Bretagna, in Inghilterra, in Irlanda e Scozia.

Come se non bastasse, a partire già dal 1200, i testi occitani vengono traslati in franco-provenzale o franco-occitano, all'inizio forse per renderli meglio comprensibili ai popoli nordici, ma poi in modo sistematico, ossessivo e chiaramente di parte, Franca, ovviamente.

Bisogna comunque convenire che l'opera di traslazione e di "esportazione" al nord, specie a Parigi e Londra, ha paradossalmente salvato da certa distruzione molti capolavori occitani, gabellati oggi per "celtici" del nord (?)

Poi, nel 1400, la formazione degli stati moderni causarono il frazionamento "a segmenti verticali" della fascia "orizzontale" occeltica, tipicamente trasversale, dall'Adriatico all'Atlantico, provocandone lo sfascio definitivo.

Ultimo baluardo di quello che rimane della cultura occitana è, nel 1500, la Provenza, almeno dal punto di vista orale, ovvero poetico: nasce il mito apocrifo dei "poeti" occitani, detti anche impropriamente trovatori.

Inizia quindi la distruzione fisica dei codici occitani mediante condanna al rogo non solo dei reperti, ma degli uomini.

Alla controriforma del 1550-1700, segue "la illuminata" opera anti-medioevalista `settecentesca, e la ultranazionalistica revisione dei romantici sapienti italiani dell'ottocento.

Un vero disastro.

 

I RITROVAMENTI

Soltanto in epoca molto recente vennero restaurati, quindi riscoperti, i codici occitani sino a noi pervenuti, e ci si accorse che erano gli antesignani della più moderna musica celtica e moresca.

Quindi divenne palese che i testi conservati in Vaticano, tutti classificati come poesie provenzali, erano in realtà opere musicali di autori italiani, padani, monferrini, borgognoni, aquitani, guasconi, catalani ovvero occelti e galizi, alcuni, purtroppo, posteriormente traslati in franco o franco-provenzale dalla lingua originale occitana antica.

Grande impulso alla ricerca fu dato da un fortuito ritrovamento, avvenuto nella prima metà del secolo ventesimo. Un certo Pedro Vindel, restauratore antiquario di Madrid, rimuove la rilegatura deteriorata in pergamena di un libro cinquecentesco, e scopre che si tratta di un frammento di antico codice musicale, il cui testo era già conosciuto negli archivi vaticani, e riduttivamente classificata come poesia "degli Amici" cassando l'altro termine parimente ricorrente: "Amanti", per non dire di altri termini quali "estro d'amore".

Nella faccia interna della pergamena, svilita a copertina, si era salvata una pagina, quasi intera, di un certo codice Martin (martin codax), di chiara fattura femminile, contenente alcuni brani di musica vivace, del tutto antitetica rispetto le credenze stereotipate (ancora oggi radicatissime).

Fortuna volle che il rilegatore fosse pure un antiquario, capace di intuire l'importanza del reperto.

Questo ritrovamento dimostra il disprezzo idiota dei secoli rinascimentali ed "illuminati" per la cultura medioevale ed occitana in particolare.

Ma proprio questo disprezzo ha salvato, suo malgrado dal rogo, la pergamena in oggetto, che smentiva tutti i preconcetti correnti e svelava una musica bellissima, sensuale e ritmica.

 

 

SITUAZIONE ATTUALE

Specialmente nel nord della Francia ed in Inghilterra iniziarono studi approfonditi che svelarono la profonda differenza fra

  • trouveur, ovvero trovatori, che usavano il franco-provenzale,
  • trobadores, ovvero trobadori, che usavano il galizio, entrambi più recenti,
  • trumbor, ovvero trombadori, i più antichi e primieri compositori occelti, che usavano ovviamente l'occitano antico, in tutta l'occitania, dalla Padania alla Catalogna, ed a Sud sino alla Sicilia.

Quindi gli "inventori musici" dell'anno mille sono i trombadori (trombatori) e le trombatriz tipicamente occitani, seguiti nel 1200 dai trobadori galizi, ed infine dai trovatori francoccitani e poi franchi.

LE PALLE STORICHE

Lo stesso autorevolissimo Cibrario nella sua "Economia Politica del Medio Evo" (Torino 1861) mostra di ignorare l'esistenza dei codici occitani, in verità quasi tutti, ancora oggi, conservati all'estero, e ne parla "per sentito dire", citando altri autori "moderni".

Cibrario confonde i trovatori con i trobadours, addirittura con i menestrelli o menestrieri (confondendo i secoli), mostra di non conoscere il senso del termine, e crede che "trobas" sia una canzone poetica popolare!

Quindi mostra di ignorare totalmente l'esistenza delle "Cantigas" galizie, non parliamo dei trombadori occitani.

Nell'impeto italiota del tempo rifiuta ovviamente qualsiasi idea celtica, quindi occeltoca od occitana.

Mai fidarsi delle fonti non coeve!!

La vera ricerca non si fa leggendo i libri di tizio o di caio, che a loro volta riportano il pensiero di sempronio.

Occorre sporcarsi le mani con le fonti coeve, ovvero con le pulverulente pergamene, come, ad onor del vero, il Cibrario fece, ma solo con i reperti a sua immediata disposizione, di genere commerciale, di cui il più antico che elenca risale al 1263, quando i Trombadori erano oramai scomparsi.